Avvocato Rosa Giorgio
Nel 2021 abbiamo assistito alla modifica del codice privacy: al Garante per la protezione dei dati personali è stato attribuito il compito di ricevere le segnalazioni provenienti da chiunque abbia un fondato motivo di ritenere che nei suoi confronti si potrebbe verificare un episodio di cosiddetto “revenge porn”. Possono denunciare anche i minori che abbiano compiuto 14 anni di età. Per “revenge porn” si intende quella pratica, illecita e penalmente rilevante, (nata dalla diffusione di massa di strumenti multimediali idonei a registrare immagini, video ed audio), con la quale uno o più soggetti, dopo aver effettuato delle registrazioni di immagini, foto e video relativi ad una o più persone che compiono atti sessualmente espliciti, anche con il consenso di queste ultime, successivamente, queste immagini, video o audio vengono diffuse senza il consenso delle persone riprese, fotografate o registrate, con un intento vendicativo nei loro confronti, oppure per danneggiarle pubblicamente, bullizzarle o molestarle.
L’articolo 144 bis del codice della privacy così come introdotto dal decreto legge 139 del 2021 (convertito con la legge 205 del dicembre 2021) ha attribuito al Garante per la protezione dei dati personali il compito di ricevere le suddette segnalazioni provenienti da soggetti (anche minori di età, almeno quattordicenni) i quali abbiano un fondato motivo di ritenere che delle fotografie oppure dei video oppure delle registrazioni audio, aventi un contenuto esplicito da un punto di vista sessuale e che si riferiscano a detto soggetto, possano essere oggetto di invio, di consegna, di cessione, di pubblicazione oppure di diffusione attraverso qualcuna delle varie piattaforme digitali presenti nel web, senza che egli abbia prestato il suo consenso in merito. L’articolo del codice privacy di cui stiamo parlando predispone l’intervento del Garante, a seguito di segnalazione, entro le successive 48 ore, attraverso il blocco dei contenuti sulle piattaforme che sono state indicate.
In particolare, l’individuazione del materiale informatico oggetto del provvedimento di “blocco” deve essere effettuata attraverso l’impronta di hash del relativo file o dei relativi files.
Il Garante per la protezione dei dati personali ha emesso, a proposito, il primo provvedimento di tutela: il numero 159 del 28 aprile 2022. Risale, quindi, a meno di due mesi fa il primo provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali.
Analizziamo il fatto: una persona ha sporto denuncia all’autorità ritenendo che essa stessa si trovasse nell’ipotesi di revenge porn e, quindi, ha chiesto al garante di intervenire presso le piattaforme Youtube, Facebook ed Instagram per inibire la possibile pubblicazione dei contenuti multimediali, sessualmente espliciti, che la riguardavano e rispetto ai quali non aveva consentito a che gli stessi fossero resi pubblici (dovendo invece restare materiale privato).
Dopo la denuncia, preliminarmente, il Garante ha provveduto ad accertarsi che la fattispecie effettivamente rientrasse nell’ipotesi citata, ovvero che si trattasse realmente di revenge porn.
Solo successivamente, per il tramite del dirigente del Dipartimento libertà di manifestazione del pensiero e cyberbullismo (secondo il riparto di competenza stabilito dalla stessa norma del codice privacy che si occupa dalla fattispecie), ha ordinato alle suddette piattaforme indicate dal segnalante di inibire la diffusione dei contenuti segnalati.
In particolare il garante ha ingiunto a Google Italy Srl ed a Google LLC l’immediata adozione di misure volte ad impedire la diffusione sulla piattaforma YouTube del materiale oggetto della denuncia presentata dal segnalante, riportato mediante impronta di hash del relativo file; ingiunto a Facebook Italy e Meta Platforms Ireland Limited l’immediata adozione di misure volte ad impedire la diffusione mediante le piattaforme Facebook ed Instagram del materiale oggetto della suindicata segnalazione, trasmesso dall’Ufficio secondo le modalità indicate da Facebook Italy. Successivamente il Garante ha chiesto alle due società, proprietarie delle piattaforme, di conservare il materiale per le finalità probatorie per 12 mesi a partire dalla data di notifica del provvedimento alle stesse.
Anche la conservazione di questi dati, ad opera delle società, deve avvenire in maniera particolare, cioè i soggetti dei video e delle immagini non devono essere identificati o identificabili.